Responsabilità medica e linee guida

Il Giudice dott. cons. Massimo Moriconi nella causa tra
A.M.C. (avv.to A.S.) - attrice
e
Dott. M.A. (avv.ti G.I. e L.V.) - convenuto
e
Spa A.M.in persona del suo legale rappresentante pro tempore - terzo chiamato (avv.P.C.) e
F.S.S. (avv.ti E.P., L.A., A.P. e I. G. P.) - terzo chiamato
e
S.A. Z.I.C.in persona del legale rappresentante pro tempore (avv.R.R.) - terza chiamata ha emesso e pubblicato la seguente
letti gli atti e le istanze delle parti,
osserva:
SENTENZA
La motivazione che segue è stata redatta ai sensi dell'art.16-bis, comma 9-octies (aggiunto dall'art. 19, comma 1, lett. a, n. 2-ter, D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015, n. 132) decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 secondo cui gli atti di parte e i provvedimenti del giudice depositati con modalità telematiche sono redatti in maniera sintetica.
Poiché già la novella di cui alla l. 18 giugno 2009, n. 69 era intervenuta sugli artt.132 cpc e 118 att.cpc , prevedendo che la sentenza va motivata con una concisa e succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, occorre attribuire al nuovo intervento un qualche significato sostanziale, che tale non sarebbe se si ritenesse che l'innovazione ultima sia puramente ripetitiva - mero sinonimo- del concetto già precedentemente espresso.
La necessità di smaltimento dei ruoli esorbitanti e le prescrizioni di legge e regolamentari (cfr. Strasburgo 2) circa la necessità di contenere la durata della cause, impongono pertanto applicazione di uno stile motivazionale sintetico che è stile più stringente di previgente alla disposizione dell'art. 19, comma 1, lett. a, n. 2-ter, d.l.83/2015.
Le domande dell'attrice non risultano fondate ed in quanto tali meritano sicuro rigetto, con correlativa ineludibile applicazione del principio della soccombenza.
Qui richiamati gli atti difensivi (citazione etc) di A.M.C., l'attrice esponeva e lamentava, fra l'altro, che reduce da pregressi interventi di artroprotesi delle anche, riportava, in ambito che non rileva in questa sede, nel 2003 una lussazione della protesi sinistra, in conseguenza della quale in data 18.3.2005 veniva operata dal dott. M.A. presso la Casa di Cura A.M. per un intervento di sostituzione della protesi.
Si accertava a mezzo TAC nei giorni seguenti, a seguito di un dolore costante, l'avvenuto sfondamento dell'acetabolo da parte della protesi femorale; sicché in data 14.4.2005 veniva eseguito, dallo stesso chirurgo, un intervento di revisione con applicazione di innesti ossei e sostituzione della componente acetabolare.
Nell'immediato dell'intervento, insorgeva una riduzione della sensibilità del piede e della motilità delle dita del piede, tanto da far sospettare una lesione del nervo sciatico (forse dovuta al fatto che durante la notte del 15 aprile a causa di un cambio di posizione effettuato da un'infermiera della Casa di Cura A.M. avvertiva un dolore intenso ed acuto).
Essendo stata accertata una nuova lussazione della protesi, veniva sottoposta in data 16.4.2005 ad un ulteriore intervento chirurgico a cura del dott. A. che le riferiva che il nervo sciatico risultava integro.
Nel gennaio 2006 un accertamento elettromiografico evidenziava una grave sofferenza del nervo sciatico.
L'attrice lamentava gravi problemi di deambulazione ed altro, che addebitava al medico (dr. A.) ed alla Casa di Cura.
Chiedeva il risarcimento dei danni nella misura complessiva di €. 678.894.
I convenuti rigettavano ogni contestazione, dispiegando per quanto di ragione domande di manleva e di regresso.
Va premesso che la domanda della C. contiene svariate imprecisioni, fra le quali l'obliterazione che è incontestabile che il chirurgo che effettivamente eseguiva l'intervento del 16.4.2005 non era il dott. A. (presente in funzione di aiuto), ma esclusivamente il prof. S..
Il rigetto delle domande dell'attrice deriva dalle seguenti circostanze e considerazioni.
A.M.C. per come riferiva era portatrice di protesi bilaterale d'anca (a sinistra dal 1993 e a destra dal 1995); nel 1999 aveva subito un intervento di revisione per anticipata mobilizzazione della protesi sx con sostituzione della parte acetabolare e della testa della protesi; e nel 2004 accusava mobilizzazione della protesi.
La condizioni fisiche della C. erano, quindi, come si vede, affacciandosi al primo intervento (18.3.2005), quelle di una persona ad altissimo rischio per questo genere di interventi (...caso complesso di revisione di protesi di anca destra impiantata nel 1995 ...con evidenza di perdita del patrimonio osseo specialmente a carico della cavità acetabolare con difficoltà tecniche nel posizione il neo cotile....così gli ausiliari del Giudice, in particolare lo specialista ortopedico dott. R); con una facilità e predisposizione a mobilizzazione, rotture e dislocazioni delle protesi evidentemente per le precarie condizioni e consistenza dei suoi materiali ossei.
Specificamente: paziente affetta da preesistenti esiti di artroprotesi di entrambe le anche, già revisionata a sinistra con una situazione precaria di instabilità articolare, come documentato da episodi lussativi riferiti in anamnesi e pertanto un quadro clinico delicato nell'ambito del quale l'anca destra presentava un significativo grado di usura della componente acetabolare, tanto da rendere necessario un re-intervento non con l'utilizzo di un cotile primario, ma comunque di un cotile da revisione (così il CTU e lo specialista ad esso associato, il dott. R, pag. 32 relazione peritale)
Condizioni fisiche (e ossee in particolare) deteriorate e deboli.
Viatico perfetto per un'elevata difficoltà degli interventi e rischiosità degli esiti.
Il Giudice non apprezzava, motivatamente (cfr. ordinanza del 25.6.2015), il contenuto della relazione del C.T.U. (nominato dalla collega in precedenza titolare della causa) e procedeva a nuova consulenza con specifico quesito relativo alla lesione del nervo sciatico affidato alla dott.R.C.medico legale, ed al dott. Giancarlo R, specialista ortopedico.
La complessità della fattispecie (testimoniata dall'approfondita ricerca della verità attraverso un accertamento tecnico preventivo e due consulenze tecniche nella causa che a quello seguiva) non ha consentito tuttavia di pervenire ad una risposta certa ed univoca (neppure applicando il noto criterio residuale del più probabile che non) in termini di danno e di nesso causale.
Va ancora premesso che il prof. S. chiamato in causa dalla spa Z. non è più parte di questa causa a seguito di rinunzia della stessa chiamante, accettata da tutte le parti costituite (anche dal dott. A., cfr. da ultimo la sua comparsa conclusionale)
Il Giudice dichiarava estinta nei confronti del prof. S. la causa (ord.del 26.9.2016 integrativa dell'ordinanza del 25.6.2015)
Tuttavia, quand'anche si esamini la condotta del prof. S. (traguardata dal punto di vista dell'eventuale responsabilità della Casa di Cura, la cui pretesa estraneità ad ogni responsabilità è, in linea di principio, erronea considerata la contraria condivisa giurisprudenza al riguardo, cfr.ord.20.2.2017), non si può non vedere che si trattava di intervento di straordinaria difficoltà in una paziente plurioperata, con condizioni ossee fragili e degradate e, per quanto riguarda l'anca destra, sottoposta a 2° reintervento il chirurgo operatore, che era esclusivamente il prof.S. (e non il dott. A.) provvedeva a individuare e proteggere il nervo sciatico (cartella dell'intervento del 16.4).
L'art. 2236 c.c. prevede che se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave.
In epoca più recente, la giurisprudenza della S.C. ha svalutato alquanto la portata della norma, ritenendola implicante "solamente una valutazione della colpa del professionista in relazione alle circostanze del caso concreto " (così Cass. 13/4/2007, n. 8826)
Si tratta di un understatement che si iscrive nella diffusa ed ampia tendenza, espressa negli ultimi decenni, della S.C. ad aggravare sotto ogni profilo ed anche con estremizzazioni difficilmente condivisibili (di cui sono esempi la costruzione della responsabilità per c.d. contatto sociale, l'applicazione tutta particolare per la responsabilità medica dell'istituto del danno da perdita di chances etc.), la responsabilità del medico.
Il tutto, con il rischio di esondare rispetto alla funzione nomofilattica (ma non creativa) che la Costituzione assegna al Supremo organo della giurisdizione ordinaria.
Occorre, anche nello spirito riequilibratore operato dalla recente legge 24/2017, dare il corretto significato a tale norma che non è stata mai abrogata, pur avendo subito interpretazioni mutevoli ratione tempore.
La parametrazione, disegnata sia pur timidamente nella predetta legge (agli art. 5, 6, 7), della sussistenza o dell'intensità della colpa al rispetto o meno di linee guida e buone pratiche cliniche, consente di affermare il principio che non può ritenersi in colpa (da intendersi grave e quindi giuridicamente significativa) il medico che, in presenza (come in questo caso) di problemi tecnici di speciale difficoltà si sia attenuto alle linee guida o esse mancando, alle buone pratiche cliniche-assistenziali, quali che siano stati i risultati dell'intervento dal medesimo effettuato.
Peraltro, nel caso di specie non è stata neppure raggiunta la prova dell'esistenza di una condotta erronea e colposa dei medici.
In particolare infatti, nulla si può addebitare al dott. A. – che aveva già in passato trattato chirurgicamente e con successo A.M.C.- e che ha operato con la massima diligenza, testimoniata dalla metodica usata (utilizzo di cotile McMinn) era – per le conoscenze scientifiche dell'epoca - idonea al caso (così CTU dott. C. e dott. R. ausiliario del Giudice) durante la manovra cruenta di tale tecnica si possono verificare delle fratture della parete acetabolare, in quanto il limite fra consistenza ossea e forza da applicare per ottenere una valida stabilità dell'impianto è molto esile (così CTU dott. C. e dott. R ausiliario del Giudice) aver preparato, prima dell'intervento vero e proprio, il nervo sciatico proprio per prevenire danni allo stesso (risultanza della cartella clinica del 14.4.2005), il re-reintervento effettuato il 14/04 veniva eseguito dopo la rimozione del cotile McMinn che risultava mobile, con il posizionamento di anelli di rinforzo a presa iliaca ed ischiatica con cotile cementato con una metodica prevista per questi casi (così il dott. R., pag.29), il che dimostra accortezza e prudenza, nonché adeguata valutazione delle implicazioni della difficile operazione, aver voluto associare a sé, da parte del dott.A., un professionista con maggiore competenza ed esperienza, il prof.F.S.S., è ulteriore testimonianza di accortezza, diligenza e prudenza.
In questo contesto, ipotizzare, essendo assenti palesi e certi atti medici erronei, una responsabilità (da partecipazione ad intervento chirurgico in equipe) del dott. A. costituirebbe un'aporia (non essendo esigibile altro ad un medico che sia stato così accorto da richiedere la presenza di altro e maggiormente esperto specialista), ovvero una indebita applicazione di responsabilità oggettiva.
Con tale premesse, la consulenza disposta dal Giudice con ordinanza del 25.6.2015 non consente di ritenere raggiunta la prova (che incombe alla danneggiata) del nesso causale fra operato dei medici e evento dannoso.
Gli ausiliari del Giudice, invero, concludono il loro studio con la seguente lapidaria affermazione (pag. 30 e 34 della relazione):
"vi è stata una lesione del Nervo Sciatico Popliteo Esterno (SPE) durante il terzo atto chirurgico per manovre di stiramento o compressione eccessiva che hanno prodotto una sofferenza del nervo medesimo"
Tale conclusione va sottoposta ad esame critico sulla base delle medesime (ed invero contraddittorie) affermazioni che si leggono nella relazione:
18.3.2005 revisione (per complicanza estranea all' attività medica) protesi anca dx - intervento di protesi anca chirurgo operatore dott. A.
Il dott.R a pag.28 prospetta ed individua manchevolezza del dott. A., in sostanza, nella non adeguata preventiva valutazione del rischio e gestione dello stesso nell'immediato e la consistenza del fondo acetabolare e la stabilità del fittone iliaco.
Si tratta di affermazioni inconcludenti, infatti, in un ambito di applicazione di metodica operatoria che viene definitiva corretta per l'epoca, non è chiaro – perché gli ausiliari non lo dicono - che cosa sarebbe cambiato, in meglio, se invece di accertarla (la frattura del fondo acetabolare) il 7 aprile il dott. A. l'avesse accertata prima; evidentemente, assolutamente niente.
14.4.2005 prima reintervento
Veniva applicata metodica definita corretta: lo stesso dott. R espone infatti che in questo reintervento si procedeva con il posizionamento di anelli di rinforzo a presa iliaca ed ischiatica con cotile cementato con una metodica prevista per questi casi
Il dott. R (pag. 29 - 31) sostiene che la mattina del 15 si manifestavano parestesie per cui il nervo doveva essere stato danneggiato durante l'intervento chirurgico (del 14), mentre la frattura della protesi (che considera – giustamente- complicanza non colposa) non ne sarebbe la causa primaria, evocando quindi manovra incongrua sul nervo sciatico,
16.4.2005 secondo reintervento
Il dott. R, con tali premesse, afferma (pag.30 e 34 della relazione) in modo chiaro e preciso, che la lesione del nervo sciatico si è verificata nel corso del terzo intervento chirurgico (2° reintervento) indicando come unico responsabile il prof.S. (chirurgo operatore)
E' di lampante (e disarmante) evidenza il corto circuito del contraddittorio ragionamento che attesta vieppiù l'incertezza della ricerca e individuazione dell'esatto svolgimento degli eventi, in particolare di quello dannoso della lesione del nervo sciatico.
La verità che rimanda la lettura degli atti della vicenda in esame è che non è dato sapere con certezza quando come e perché si sia prodotto l'evento danno (lesione del nervo sciatico SPE)
Che ben potrebbe, nell'irrisolvibile incertezza in cui si svolge il ragionamento dello specialista e del CTU, essersi verificata a seguito della lussazione della protesi (fatto che costituisce pacificamente una complicanza non colposa, cioè non riconducibile ad errore medico essendo state attuate e rispettate esattamente le linee guida vigenti all'epoca, cfr. CTU C./R.), pure considerato che dalla cartella clinica non risultano presenti parestesie dopo l'intervento del 14 marzo se non ad oltre 16 ore di di-stanza dalla fine dell'intervento.
Esclusa la percorribilità, per una causa datata, dove sono state effettuate tutte le indagini possibili, di ulteriori accertamenti, occorre evidenziare e seguire il fondamentale e condivisibile principio enunciato dalla S.C. (Cass.26 luglio 2017, n. 18392) secondo cui grava sul creditore l'onere di provare il nesso di causalità fra l'azione o l'omissione del sanitario ed il danno di cui domanda il risarcimento. Non solo il danno ma anche la sua eziologia è parte del fatto costitutivo che incombe all'attore di provare. Ed invero se si ascrive un danno ad una condotta non può non essere provata da colui che allega tale ascrizione la riconducibilità in via causale del danno a quella condotta. Se, al termine dell'istruttoria, resti incerti la reale causa del danno, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova gravano quindi sull'attore (conforme 26824/17 del 4.11.2017)
Al necessario rigetto delle domande della C. NON consegue la condanna alle spese di causa.
A tale proposito va evidenziato quanto segue.
Con l'ordinanza del 22.2.2017 il Giudice aveva articolato una proposta ai sensi dell'art.185 bis cpc.
Disponendo che, ove non raggiunto l'accordo, la discussione proseguisse in sede di mediazione (demandata ai sensi dell'art.5 co.II decr.lgsl.28/2010) .
La formulazione dell'ordinanza veniva, come di consueto, accompagnata da indicazioni motivazionali e da indicazioni ed avvertimenti.
In particolare sulla circostanza che altro è la proposta conciliativa che si fonda in larga parte sull'equità, che consente ad ognuna delle parti di valutare al meglio interessi e convenienze (compreso il rischio insito nei vari gradi di giudizio nei quali si può articolare la causa non conciliata), ed altro è la sentenza.
Inoltre il Giudice avvertiva delle conseguenze (latu sensu, sanzionatorie), che derivano dalla ingiustificata partecipazione al procedimento di mediazione demandata.
Conseguenze ampiamente note perché edite anche on line.
Che il mancato rispetto dell'ordine impartito dal Giudice ai sensi dell'art. 5 co. II° della legge integri colpa grave (se non dolo) è indiscutibile, ampiamente motivato, dimostrato e confermato dalla giurisprudenza, che si richiama, anche ai sensi dell'art.118 att. cpc....
Inoltre, è stato affermato che la mancata partecipazione, ingiustificata come in questo caso, al procedimento di mediazione può costituire valido motivo per la compensazione delle spese anche nei confronti della parte interamente vincitrice
Ed invero l'art. 92 c.p.c. dispone che il giudice, nel pronunciare la condanna di cui all'articolo precedente, può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue; e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere di cui all'articolo 88 c.p.c., essa ha causato all'altra parte
Premesso che è di ovvia evidenza che la condanna della parte vittoriosa alle spese contiene, come il più contiene il meno, la possibilità di compensazione, si reputa giusto procedervi nei rapporti fra i convenuti (che hanno trasgredito al dovere di una leale condotta processuale) e l'attrice.
La sentenza è per legge esecutiva.
P.Q.M.
definitivamente pronunziando, ogni contraria domanda eccezione e deduzione respinta, così provvede:
1.RIGETTA le domande di A.M.C.;
2.CONFERMA l'estromissione dal giudizio del prof. F.S.S.;
3.COMPENSA per intero le spese di causa. Roma li 1.2.2018
Il Giudice dott. cons. Massimo Moriconi

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